CULTURE CRYPT

Review:

Raramente, in effetti mai che io possa ricordare immediatamente, un film taglia i titoli di coda con la mia percezione di esso improvvisamente sommersa in una profonda confusione. “Devil in the Dark” ha catturato la mia attenzione e poi l’ha persa, lasciandomi la netta impressione di essermi perso una scena da qualche parte. Forse più di una.

“Devil in the Dark” è la storia di due fratelli. Da ragazzi, i semi dell’allontanamento sono stati fertilizzati quando Clint si è avvicinato al loro padre attraverso un interesse reciproco per la vita all’aria aperta, mentre Adam stava comodo nella sua stanza a leggere fumetti. Più Clint e il loro padre legavano sparando ai cervi, più Adam si allontanava da entrambi.

Il padre è morto qualche tempo fa e sono passati 15 anni dall’ultima volta che i fratelli si sono visti. Sogni ricorrenti di essersi perso nei boschi da bambino hanno spinto Adam a tornare a casa, e Clint suggerisce una battuta di caccia per riparare il loro legame fraterno. Adam accetta con esitazione, e la sua riluttanza si fa più decisa quando due amici gli dicono che il luogo in cui intende cacciare è il luogo in cui un uomo è misteriosamente scomparso.

Le vecchie faide si riaccendono mentre Adam e Clint risalgono la montagna, litigando di giorno e ricordando il fuoco da campo di notte. Poi i fratelli scoprono una radura bruciata prima di una caverna minacciosa. Adam è certo di essere già stato qui. Clint prova solo terrore e terrore. Qualunque demone perseguiti i sogni di Adam cammina anche su questo altopiano, e il suo scopo è quello di fornire la vera sfida alla relazione di Adam e Clint.

“Devil in the Dark” mette le radici in un ambiente di una piccola città popolata da gente della classe operaia. Le carriere qui sono nell’edilizia. La vita notturna consiste in biliardo da bettola e un secchio di Bud Lights. C’è un’atmosfera da colletti blu che è atipica per l’esperienza che si sta vivendo, eppure si presenta come relazionabile, accogliente, e il tono giusto per catturare ciò che il film vuole fare come un dramma intimo prima e un film di paura poi.

Questo melodramma e questo horror non hanno fretta di crescere. “Devil in the Dark” si sviluppa deliberatamente in modo lento, in modo che i vari strati possano farsi strada. Eppure il problema del ritmo non deriva tanto dal tempo impiegato per la formazione della storia e dei personaggi, quanto dai tagli che arrivano in ritardo su inquadrature che si soffermano troppo a lungo.

Molteplici battute della trama coinvolgono i fratelli che vengono separati o qualcuno che perde i sensi. Questi sono metodi poco ispirati per spostare due personaggi dove sono necessari e il ritorno a quel pozzo enfatizza ripetutamente come il film si confini in una stasi letargica.

Un problema nel cavalcare un ritmo ridondante per 80 minuti consecutivi è che la suspense non può essere sostenuta. Più importante in questo caso, si perde l’incentivo ad investire nella comprensione del significato metaforico del film.

“Devil in the Dark” non è veramente un film di mostri. Parla di questi due uomini. La sceneggiatura ha qualcosa da dire sulla famiglia, sull’allontanamento, sui demoni nell’armadio che non se ne vanno. Che cosa sia quel qualcosa posso solo indovinarlo però, perché il messaggio si confonde in un loop malinconico di punti disgiunti che il climax non collega.

Proprio quando sembra che un’ultima sorpresa sia pronta a cadere, non lo fa. “Devil in the Dark” finisce su una nota disorientante descritta come interpretativamente vaga nel migliore dei casi e come eseguita senza successo nel peggiore. Mentre potrei certamente accettare l’idea di non essere stato abbastanza coinvolto per capirlo, potrei controbattere che il film non riesce a formulare pienamente il suo scopo emotivo.

C’è un insulto da fare sul titolo provvisorio “The Plateau”, con l’insipidezza di quel nome che è un riflesso accurato del sapore di vaniglia del film. E ho indirettamente fatto questa battuta non trovando una via più sofisticata per strutturare quella frase.

Sarebbe falso suggerire che “Devil in the Dark” è un film fatto male. Non lo è. È il tipo di onesto sforzo indie che nessun critico si diletta a dissuadere qualcuno dal vedere perché le sue intenzioni sono ovviamente buone. Gli elementi, dalla recitazione alla fotografia, sono competenti e capaci, anche se non degni di nota. Il film nel suo complesso non può vincere una raccomandazione senza una solida iniezione di adrenalina per la sua atmosfera e questo è un ago che non arriva mai.

Dalla storia allo stile, “Devil in the Dark” mi ricorda “Dark Was the Night” (recensione qui). Purtroppo, mi viene in mente allo stesso tempo che “Dark Was the Night” è una creatura più completamente realizzata, combinata con uno studio dei personaggi, con un quoziente di intrattenimento da abbinare al suo serio dramma, nessuno dei quali “Devil in the Dark” riesce a far decollare del tutto.

Punteggio della recensione: 45

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