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Definizione

La focalizzazione, termine coniato da Genette (1972), può essere definita come una selezione o restrizione dell’informazione narrativa in relazione all’esperienza e alla conoscenza del narratore, dei personaggi o di altre entità più ipotetiche del mondo della storia.

Spiegazione

Genette ha introdotto il termine “focalizzazione” in sostituzione di “prospettiva” e “punto di vista” (Niederhoff → Prospettiva – Punto di vista). Egli lo considera più o meno sinonimo di questi termini, descrivendolo come una semplice “riformulazione” (1988: 65) e “presentazione generale dell’idea standard di ‘punto di vista’” (84). Questa, tuttavia, è una sottovalutazione delle differenze concettuali tra la focalizzazione e i termini tradizionali.

Genette distingue tre tipi o gradi di focalizzazione – zero, interna ed esterna – e spiega la sua tipologia mettendola in relazione con le teorie precedenti:

“Il primo termine corrisponde a ciò che la critica anglofona chiama narrazione con narratore onnisciente e Pouillon ‘visione da dietro’, e che Todorov simboleggia con la formula Narrator > Character (dove il narratore sa più del personaggio, o più esattamente, dice più di quanto sappia qualsiasi personaggio). Nel secondo termine , Narratore = Personaggio (il narratore dice solo ciò che un dato personaggio sa); questa è la narrativa con ‘punto di vista’ dopo Lubbock, o con ‘campo ristretto’ dopo Blin; Pouillon la chiama ‘visione con’. Nel terzo termine, narratore < personaggio (il narratore dice meno di quello che il personaggio sa); questa è la narrazione ‘oggettiva’ o ‘comportamentista’, ciò che Pouillon chiama ‘visione dall’esterno'”. ( 1980: 188-89).

Il brano sintetizza due modelli: uno quasi matematico in cui la quantità di informazioni narrative è indicata dalle formule derivate da Todorov; e uno più tradizionale basato sulle metafore di visione e punto di vista, che deriva da Pouillon e Lubbock. Che questi due modelli non siano equivalenti è stato dimostrato da Kablitz (1988). Se un romanzo inizia dicendoci chi è un personaggio, con chi è sposato, e per quanto tempo ha vissuto in una certa città, non rivelerà più di quanto il personaggio conosca se stesso, ma nessuno descriverebbe un tale inizio come un esempio di “visione con” o punto di vista del personaggio. Raccontare una storia dal punto di vista di un personaggio significa presentare gli eventi come sono percepiti, sentiti, interpretati e valutati da lei in un particolare momento.

Genette stesso propende nella direzione del modello Todoroviano, basato sull’informazione. A volte, parla di focalizzazione in termini di paradigma del punto di vista, per esempio quando la descrive come la messa a fuoco della narrazione in un particolare “punto” (1988: 73); ma in generale, pensa alla focalizzazione in termini di conoscenza e informazione. La definisce quindi come “una restrizione di ‘campo’, una selezione dell’informazione narrativa rispetto a ciò che tradizionalmente si chiamava onniscienza” (1988: 74). Questa enfasi è anche implicita nel termine stesso e nella preposizione che lo accompagna. Genette scrive costantemente “focalisation sur” in francese: mentre una storia è raccontata da un punto di vista particolare, una narrazione si concentra su qualcosa. Questa preposizione indica la selezione o la limitazione di quantità o tipi di informazioni accessibili secondo le norme di una particolare focalizzazione. Se la focalizzazione deve essere più di una semplice “riformulazione” del punto di vista, è questo aspetto del termine, il modello basato sull’informazione, che deve essere sottolineato.

L’enfasi di Genette sulla conoscenza e sull’informazione è rivelata anche dal suo ampio trattamento delle alterazioni (1980: 194-98), definite come una trasgressione della norma informativa stabilita dalla focalizzazione di un testo. Le alterazioni assumono due forme: la paralepsi, l’inclusione di un evento contro la norma di una particolare focalizzazione; e la paralipsis, un’omissione altrettanto trasgressiva di tale evento. Secondo Genette, le norme che vengono violate da queste trasgressioni non possono essere definite in anticipo (ad esempio, attraverso inferenze comuni su ciò che un particolare narratore può aver imparato sulla storia che racconta). Invece, le norme sono stabilite da ogni particolare testo: “Il criterio decisivo non è tanto la possibilità materiale o persino la plausibilità psicologica, quanto la coerenza testuale e la tonalità narrativa” (208). Shen non è d’accordo con questa visione, sostenendo che si riduce a un approccio meramente quantitativo, una misurazione della lunghezza relativa delle porzioni normative e trasgressive del testo; suggerisce che c’è una “legittimità” più generale che viene violata dalle alterazioni (2001: 168-69). Tuttavia, i suoi esempi e le sue analisi mostrano che la “legittimità” in materia di focalizzazione è tutt’altro che evidente. Nel suo caso, si basa su presupposti piuttosto arbitrari circa la conoscenza limitata dei narratori in prima persona e la conoscenza illimitata dei narratori in terza persona.

Un punto importante nella teoria di Genette è la sua rigorosa separazione tra la focalizzazione e il narratore (a cui ci si riferisce con la metafora grammaticale della “voce”). La maggior parte delle teorie precedenti analizza categorie come il narratore in prima persona, l’onniscienza e la prospettiva della telecamera sotto un unico termine ombrello, di solito il punto di vista. Genette ritiene che tali trattamenti cavallereschi dell’argomento “soffrono di una deplorevole confusione tra la domanda chi è il personaggio il cui punto di vista orienta la prospettiva narrativa? e la domanda molto diversa chi è il narratore – o, più semplicemente, la domanda chi vede? e la domanda chi parla? ( 1980: 186). Ciò che segue dalla separazione delle due domande è la richiesta di una combinazione relativamente libera di tipi di narratore e tipi di focalizzazione, una posizione che ha acceso una notevole quantità di controversie.

Storia del concetto e del suo studio

La teoria di Genette è stata accolta come un notevole progresso sul precedente paradigma di prospettiva o punto di vista, e il neologismo di focalizzazione è stato ampiamente adottato, almeno dai narratologi. Genette stesso sostiene che il suo termine è preferibile perché è meno visivo e metaforico di quelli tradizionali (1980: 189). Altri critici lo preferiscono perché non fa parte del discorso quotidiano e quindi è più adatto come termine tecnico con un significato specializzato (Bal 1997: 144; Nünning 1990: 253; Füger 1993: 44). Tuttavia, l’argomento principale è che il termine dissipa la confusione delle domande chi vede? e chi parla? Questo argomento è diventato un vero e proprio luogo comune (per esempio Bal 1997: 143; Edmiston 1991: x; O’Neill 1992: 331; Rimmon-Kenan 2002: 71; Nelles 1990: 366; Nünning 1990: 255-56). Finney lo afferma come segue: “‘Focalizzazione’ è un termine coniato da Gérard Genette per distinguere tra agenzia narrativa e mediazione visiva, cioè focalizzazione. Il ‘punto di vista’ confonde il parlare e il vedere, la voce narrativa e la focalizzazione. Da qui la necessità del termine di Genette” (1990: 144). È vero che Genette introduce il termine focalizzazione subito dopo le sue polemiche contro la confusione tipologica di chi vede e chi parla, ma non stabilisce una connessione tra queste polemiche e il suo neologismo, né esiste una tale connessione. Come termine, la focalizzazione dissipa la confusione di vedere e parlare non più di quanto facciano i termini tradizionali. Al contrario, la connessione tra la domanda chi vede? e il punto di vista dovrebbe essere un po’ più evidente di quella tra chi vede? e la focalizzazione. È perfettamente possibile abbracciare lo schema di Genette, compresa la separazione e la libera combinazione dei tipi di narratore e di focalizzazione, mentre ci si riferisce alle sue tre focalizzazioni come punti di vista.

Il caso che i sostenitori della focalizzazione hanno fatto per la sua superiorità rispetto al punto di vista non è affatto fuori discussione. Né è migliorata dal fatto che alcuni di loro usano il nuovo termine mentre pensano ancora secondo le linee del vecchio, trascurando le differenze semantiche tra loro e trascurando la nuova enfasi concettuale del neologismo. Füger, per esempio, spiega che la focalizzazione interna ed esterna si distinguono in base alla “situazione dell’agente del processo di percezione” (1993: 47), che non è altro che una parafrasi rotonda di punto di vista. Un esempio caratteristico della reinterpretazione della focalizzazione in termini di punto di vista è un cambio di preposizione nella traduzione inglese dello studio di Genette: “e mode narratif de la Recherche est bien souvent la focalisation interne sur le héros” (1972: 214). “Il modo narrativo della Recherche è molto spesso la focalizzazione interna attraverso l’eroe” (1980: 199). La resa di sur come attraverso parla chiaro. Sembra che il traduttore sia sotto l’incantesimo del paradigma del punto di vista. Invece di pensare alla focalizzazione come una selezione o una focalizzazione su una particolare regione del mondo della storia – in questo caso la mente del protagonista – il traduttore considera questa mente come una specie di finestra attraverso la quale il mondo viene percepito.

L’influente revisione della teoria di Genette da parte di Bal è un altro esempio della reinterpretazione della focalizzazione in termini di punto di vista, sebbene lei ne sia più consapevole di altri. Così ammette che la prospettiva “riflette precisamente” ciò che lei intende per focalizzazione (1997: 143), e sottolinea che Genette avrebbe dovuto scrivere “focalisation par” invece di “focalisation sur” (1977: 29). La continua influenza del paradigma del punto di vista sembra anche essere alla base della riconcettualizzazione da parte di Bal della tipologia di Genette in termini di soggetti e oggetti focalizzati. Secondo lei, la distinzione tra la focalizzazione zero di Genette e la sua focalizzazione interna sta nell’agente o soggetto che “vede” la storia (il narratore nel primo caso, un personaggio nel secondo); la differenza tra la focalizzazione interna ed esterna di Genette, tuttavia, non ha nulla a che fare con il soggetto che “vede” ma con l’oggetto che viene “visto” (pensieri e sentimenti nel primo caso, azioni e apparenze nel secondo). Si ritrova così con un sistema di due distinzioni binarie che sostituiscono la triplice tipologia di Genette. Ci sono due tipi di focalizzazione: quella legata al personaggio o interna (la focalizzazione interna di Genette) e quella esterna (la focalizzazione zero ed esterna di Genette combinate in una sola). Inoltre, ci sono due tipi di oggetti focalizzati: impercettibili (pensieri, sentimenti, ecc.) e percepibili (azioni, apparenze, ecc.).

Almeno alcuni degli elementi di questa riconcettualizzazione risultano dall’adesione di Bal al paradigma del punto di vista, in particolare l’eliminazione della distinzione tra i tipi zero ed esterno di Genette (fusi da Bal nella focalizzazione esterna). All’interno del modello del punto di vista, questo cambiamento ha un certo senso. Se si pensa allo zero di Genette e alla focalizzazione esterna in termini di un punto da cui i personaggi sono visti, questo punto sembrerebbe trovarsi al di fuori dei personaggi in entrambi i casi. Tuttavia, se si pensa in termini di conoscenza e informazione, lo zero e la focalizzazione esterna sono mondi a parte. La prima ci fornisce un accesso completo a tutte le regioni del mondo della storia, compresa la mente dei personaggi, mentre nella seconda l’accesso è estremamente limitato e non è possibile alcuna visione interna.

Sebbene sia possibile spiegare la motivazione delle modifiche apportate da Bal alla teoria di Genette sottolineando la sua adesione al punto di vista, bisogna dire che, di per sé, queste modifiche non sono convincenti. È semplicemente errato sostenere che i tipi zero e interno di Genette si distinguono per i soggetti focalizzanti, mentre i suoi tipi interno ed esterno differiscono negli oggetti focalizzati. Tutte le focalizzazioni di Genette variano, tra l’altro, nella gamma di oggetti che possono essere rappresentati; la sua focalizzazione zero e la sua focalizzazione interna (distinta in termini di soggetti focalizzanti da Bal) sono anche dissimili sotto questo aspetto. Inoltre, l'”oggetto focalizzato” è un concetto fuorviante: la distinzione cruciale riguardante tali oggetti è tra quelli “percepibili” e quelli “impercettibili”, il che significa che l’elemento soggettivo della percezione che Bal ha precedentemente eliminato viene reintrodotto per mezzo dell’aggettivo. Come scrive Edmiston: “il focalizzatore può essere caratterizzato dai suoi oggetti di focalizzazione, nonostante gli sforzi di Bal di separarli. Soggetto e oggetto possono essere analizzati separatamente, ma non possono essere dissociati totalmente, come se non ci fosse alcuna correlazione tra loro” (1991: 153).

Un’altra caratteristica della teoria di Bal, evidenziata e criticata da Jahn, è “che qualsiasi atto di percezione (breve o esteso; reale, ipotetico o fantasticato) presentato in qualsiasi forma (narrato, riportato, citato o rappresentato scenicamente) conta come un caso di focalizzazione” (Jahn 1996: 260). Si tratta di una premessa problematica, che forse deriva dall’aver preso troppo alla lettera la domanda di Genette “chi vede? In definitiva, riduce l’analisi della focalizzazione a una parafrasi del contenuto narrativo, all’identificazione degli atti di percezione. Tuttavia, se una narrazione ci dice che Maria vede Giovanni, non possiamo essere certi che la narrazione sia anche focalizzata “da” (per usare la preposizione preferita da Bal) Maria. Se questo è il caso dipende da come l’atto di percezione di Maria è narrato e dal contesto in cui avviene. Certo, Bal non è l’unico ad equiparare la focalizzazione alla percezione. Questa premessa è condivisa anche da Herman & Vervaeck (2004), Margolin (2009) e Prince, il quale afferma esplicitamente che la sua “discussione collega la focalizzazione solo alla percezione del narrato da parte di (o attraverso, o ‘con’) un’entità in quel narrato” (2001: 47).

L’equiparazione della focalizzazione alla percezione è fatta anche da David Herman in “Hypothetical Focalization” (1994), un articolo che userò qui per evidenziare i problemi inerenti a questa equazione. Attingendo alla semantica dei mondi possibili, Herman esamina i passaggi che descrivono esplicitamente ciò che avrebbe potuto essere visto in un particolare punto della storia se qualcuno fosse stato lì per vederlo. Così, ne “La caduta della casa degli Usher” di Poe, il narratore invoca uno spettatore immaginario di questo tipo quando descrive la casa: “Forse l’occhio di un osservatore scrutatore avrebbe potuto scoprire una fessura appena percettibile, che, estendendosi dal tetto dell’edificio di fronte, si faceva strada lungo il muro” ( 1956: 97-8). Il problema dell’articolo di Herman è che analizza la percezione ipotetica piuttosto che la focalizzazione ipotetica. La scoperta della fessura da parte dell’osservatore immaginario di Poe è ipotetica solo rispetto al caso di un personaggio che vede effettivamente questa fessura. In termini di focalizzazione del racconto di Poe, la scoperta non è affatto ipotetica per la semplice ragione che il narratore la menziona. Ha un effetto sulla focalizzazione in quanto contribuisce a distanziare l’io narrante dall’io sperimentatore: l’io narrante sa che c’era una fessura perché l’ha vista molto chiaramente alla fine della storia, mentre l’io sperimentatore sembra non esserne consapevole quando si avvicina per la prima volta alla casa. In generale, le istanze di percezione ipotetica sembrerebbero puntare nella direzione della focalizzazione zero (o punto di vista narrativo nel paradigma tradizionale), proprio come il “riportare ciò che un personaggio non ha di fatto pensato o detto” discusso da Chatman (1980: 225). La focalizzazione ipotetica in senso stretto è un’opzione di focalizzazione concepibile ma non realizzata in un testo, come una versione internamente focalizzata del Tom Jones di Fielding. Se un testo stesso possa realizzare o suggerire tale focalizzazione ipotetica è una domanda interessante che attende una risposta.

Mentre la revisione di Bal della teoria di Genette comporta cancellazioni come la “focalizzazione esterna”, essa contiene anche aggiunte, in particolare il “focalizzatore”, cioè l'”agente che vede” in una data focalizzazione (Bal 1997: 146). Questo concetto ha generato una notevole quantità di controversie, compreso un dibattito più specifico sulla questione se i narratori possano essere focalizzatori. Bal, Phelan (2001) e molti altri presumono che sia i personaggi che i narratori possano essere focalizzatori; Chatman (1990) e Prince (2001) sostengono che i personaggi possono focalizzare mentre i narratori no. Genette, d’altra parte, rifiuta i focalizzatori di personaggi ma ammette, con una certa riluttanza, la possibilità di considerare il narratore come un focalizzatore (1988: 72-3). Tuttavia, egli non vede una grande necessità del termine, un atteggiamento condiviso da Nelles, che lo considera ridondante (1990: 374). Lo scetticismo di questi ultimi due critici sembra essere giustificato. Parlare di personaggi come focalizzatori significa confondere focalizzazione e percezione. I personaggi possono vedere e sentire, ma difficilmente possono focalizzare una narrazione della cui esistenza non sono consapevoli. Questo ci lascia con il narratore (o l’autore?) come unico focalizzatore, una deduzione il cui interesse è principalmente scolastico. Se tutti i tipi di focalizzazione possono essere attribuiti a un solo agente, questa attribuzione non ci fornisce alcuno strumento concettuale che possiamo utilizzare per distinguere e analizzare i testi.

Inoltre, il concetto di focalizzatore è fuorviante perché suggerisce che un dato testo o segmento di testo sia sempre focalizzato da una sola persona, il narratore o un personaggio. Ma questa è una semplificazione. Consideriamo il famoso inizio di Great Expectations di Dickens, in cui Pip, il narratore in prima persona, ci racconta come, da piccolo orfano, visitò le tombe della sua famiglia e trasse alcune conclusioni molto fantasiose sui suoi parenti dalla forma delle loro lapidi. Questo passaggio si concentra sui pensieri e le percezioni del ragazzo, ma comunica anche la conoscenza e l’atteggiamento del narratore adulto, principalmente attraverso lo stile (linguaggio elaborato, lessico ironicamente inflazionato, ecc.) Non ha molto senso qui chiedersi se il ragazzo sia o meno il focalizzatore in questo passaggio. È più appropriato analizzare la focalizzazione come una caratteristica più astratta e variabile del testo, che oscilla tra le conoscenze e gli atteggiamenti del narratore adulto e l’esperienza del personaggio bambino.

Per riassumere, le varie innovazioni teoriche introdotte dai sostenitori della focalizzazione sono irte di notevoli problemi; la focalizzazione non è così superiore al punto di vista da poter scartare il vecchio termine. Niederhoff (2001) confronta i significati e i meriti dei termini, sostenendo la coesistenza pacifica e la complementarità tra i due. C’è spazio per entrambi perché ognuno mette in evidenza aspetti diversi di un fenomeno complesso e sfuggente. Il punto di vista sembra essere la metafora più potente quando si tratta di narrazioni che cercano di rendere l’esperienza soggettiva di un personaggio; affermare che una storia è raccontata dal punto di vista del personaggio ha più senso che sostenere che c’è una focalizzazione interna sul personaggio. Focalizzazione è un termine più appropriato quando si analizzano selezioni di informazioni narrative che non sono progettate per rendere l’esperienza soggettiva di un personaggio, ma per creare altri effetti come la suspense, il mistero, l’enigma, ecc. Se la teoria della focalizzazione deve fare progressi, è indispensabile una consapevolezza delle differenze tra i due termini e dei loro rispettivi punti di forza e di debolezza.

Temi da approfondire

(a) La necessità più urgente è quella di un’analisi delle caratteristiche concettuali specifiche della metafora della focalizzazione in confronto alle metafore correlate come la prospettiva, il punto di vista, il filtro, ecc. Ciò deve essere completato da un’analisi approfondita e non dogmatica dei testi che mostri quale di questi termini è più appropriato a quale tipo di testo. (b) La questione sollevata dall’articolo di Herman (1994) rimane da indagare: Esiste una focalizzazione ipotetica? In altre parole, un testo può suggerire o implicare una focalizzazione che non è presente in questo testo?

Bibliografie

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