Green Card (1990)
Green Card è un buon film. Vale la pena guardarlo. La prima volta che l’ho visto non mi ha impressionato, ma poi riguardandolo l’ho trovato realistico e piacevolmente affascinante, in quel modo “semplice/controcorrente” che è tipico di Peter Weir. Ha fatto anche The Witness, Dead Poets Society, e The Truman Show; e Green Card, sicuramente, è un altro dei suoi film su persone che non si adattano al loro ambiente o al mondo delle loro aspirazioni, ma sono trascinate a trovare la vita dove probabilmente non stavano cercando. La scena della ricerca del bagno è allo stesso tempo esilarante e molto suspense. È divertente come in una casa, o anche in un piccolo appartamento, non siamo mai sicuri di dove sia il bagno. Il nostro primo istinto è quello di chiedere, anche se probabilmente non sarebbe difficile trovarlo da soli. Ora immaginate di dover affrontare quella situazione del bagno (qualcosa che vi interessa solo quando ne avete bisogno) facendo finta che il posto in cui vi trovate sia casa vostra. È quasi come in quegli incubi in cui ci sono tante porte ma qual è quella che ti porterà a quel livello successivo di cui hai tanto bisogno ma non hai la minima idea di cosa possa essere realmente? Credo che la metafora qui sia che continui ad aprire una catena di porte sbagliate finché non trovi quella giusta per te. È frustrante, ma la porta è sempre stata lì, sempre, con l’eccezione che non l’hai mai notata. Proprio come nella vita di tutti i giorni, l’amore e la spiritualità possono balenarti in faccia come vista banale all’inizio, ma sono fatti di speranze e paure che sono sempre più grandi di noi, inspiegabili, forse il destino. Non ne abbiamo il controllo (i greci lo sapevano), siamo sempre gli stessi ma di nuovo non lo siamo. Ed eccoci qui, a tentoni, a sopravvivere. Come ci si relaziona con le persone e con le circostanze attuali – qualunque esse siano – questo è ciò che riguarda Green Card.
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