Dithyramb

Dithyramb, canzone corale in onore del dio del vino Dioniso. La forma era conosciuta già nel VII secolo a.C. in Grecia, dove un testo improvvisato veniva cantato dai banchettanti sotto la guida di un uomo che, secondo il poeta Archilochus, era “colpito dalla folgore del vino”. Era in contrasto con il più sobrio paean, cantato in onore di Apollo. L’etimologia della parola è incerta, anche se, come altre parole che finiscono in amb, sembra essere di origine pre-ellenica.

Il ditirambo cominciò a raggiungere la distinzione letteraria intorno al 600 a.C., quando, secondo lo storico greco Erodoto, il poeta Arione compose opere di questo tipo, diede un nome al genere e le presentò formalmente a Corinto. Negli ultimi decenni del VI secolo a.C. ad Atene, durante la tirannia di Peisistrato, una competizione ditirambica fu ufficialmente introdotta nelle Grandi Dionisiache dal poeta Laso di Ermione. I ditirambi furono eseguiti anche in altre feste. L’esecuzione dei ditirambi era grandiosa e spettacolare: dopo un prologo pronunciato dal leader del gruppo, due cori in abiti costosi – uno di 50 uomini e l’altro di 50 ragazzi – cantavano ed eseguivano danze in cerchio intorno all’altare di Dioniso. Gli Auloi (strumenti a fiato con ance doppie) fornivano l’accompagnamento strumentale.

La grande età del ditirambo fu anche il periodo della fioritura della lirica corale greca in generale. Simonide, Pindaro e Bacchilide li hanno tutti composti. Poco si sa dei ditirambi di Simonide, che un epigramma ellenistico accredita di 56 vittorie, ma i ritrovamenti di papiri hanno fornito due ditirammi completi di Bacchilide insieme a notevoli frammenti dell’opera di Pindaro. L’ode 18 di Bacchilide è insolita perché include un dialogo tra un coro e un solista. Un tempo gli studiosi associavano la struttura drammatica e mimetica di quest’ode alla famosa affermazione di Aristotele nella Poetica che la tragedia ha avuto origine dall’improvvisazione dei capi del ditirambo; tuttavia, molti studiosi contemporanei vedono l’uso del dialogo del poema per interesse drammatico come un segno della resa del ditirambo ai metodi più vivaci della tragedia.

Dal 450 a.C. circa in poi, poeti ditirambici come Timoteo, Melanippide, Cinesias e Filosseno impiegarono dispositivi sempre più sorprendenti di lingua e musica, finché per gli antichi critici letterari il ditirambico acquisì le connotazioni di “turgido” e “roboante”. I veri ditirambici sono rari nella poesia moderna, anche se si può dire che la “Festa di Alessandro” (1697) di John Dryden abbia una somiglianza casuale con la forma. I poeti della Pléiade francese (XVI secolo ad) usarono il termine per descrivere alcune delle loro poesie, come fece il medico e poeta italiano Francesco Redi per il suo “Bacco in Toscana” (1685; “Bacco in Toscana”).

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Il termine può anche riferirsi a qualsiasi poesia in un ceppo irregolare ispirato, o a una dichiarazione o un pezzo di scrittura in uno stile esaltato e appassionato, di solito in lode di un particolare soggetto. Esempi moderni includono i Ditirambi di Dioniso di Friedrich Nietzsche (1891) e “Alcyone” di Gabriele d’Annunzio (1904).

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